Sentiamo spesso parlare di ‘brand building’ [BB] e ‘ sales activation’ [SA], ma quanto ne sappiamo davvero e che differenza c’è tra queste due strategie di comunicazione? Nel rispondere andremo a individuare gli asset strategici attorno cui ruota la pubblicità di marca del futuro sulla scorta di alcune indicazioni dell’IPA – Institute of Practitioners in Advertising.
Prima di tutto capiamo come si caratterizzano le tipologie di comunicazione basate su BA e SA.
La comunicazione di brand building funziona attraverso la creazione di una brand equity mentale, che influenza l’intenzione dei consumatori di comprare prodotti o servizi di un dato brand in futuro. Lo fa attraverso una logica che punta sul lungo periodo privilegiando nei contenuti un approccio di tipo emozionale.
La comunicazione di sales activation è tutta un’altra storia. Questo perché basa l’obiettivo che si pone – spingere a comprare – sulla brand equity mentale già precedentemente instaurata. Si focalizza inoltre su una visione a breve termine che mira alla vendita qui e ora, ricorrendo all’uso di messaggi persuasivi e razionali.
In secondo luogo, per meglio comprendere le implicazioni di tutto questo, esploriamo il funzionamento del cervello umano alla luce delle recenti scoperte della neuroscienza. Secondo Daniel Kahneman, economista comportamentale premio Nobel, il cervello umano funziona secondo due differenti “sistemi”:
1. Il sistema 1 è rapido e spontaneo, funziona per istinto in una modalità inconscio che non percepiamo
2. Il sistema 2 lavora lentamente attraverso il calcolo e il ragionamento e in maniera consapevole
Se applichiamo questi due sistemi a come il cervello interagisce con la comunicazione vediamo che la comunicazione di brand building si accorda bene al sistema 1 perché crea una preferenza di brand a lungo termine e instaura associazioni emotive verso il brand; mentre le campagne di sales activation parlano la lingua del sistema 2, ovvero fanno leva sulle intenzioni consapevoli e sui bisogni razionali creando un impatto quasi immediato sul comportamento, che spesso si traduce nell’atto dell’acquisto.
Questo modus operandi è ben espresso in Momentum, lo strumento disegnato da Wavemaker per mappare il purchase journey: come si vede, infatti, le attività di brand building creano dei bias positivi nella fase cosiddetta di priming o primo contatto, in questo modo influenzando le scelte del consumatore nella fase attiva con il rinforzo delle iniziative di attivazione pura.
Nel complesso, quindi, brand building e sales activation lavorano in modo complementare, come illustra il modello IPA sottostante. Mentre BB crea una scala fatta di gradini misurati e regolari che accrescono le vendite nel tempo, le campagne di sales activation producono onde che sono sì più alte ma tendono a stabilizzarsi se non addirittura a calare nel lungo periodo.
Incrociando il database IPA con quello di GroupM, inoltre, siamo in grado di definire il migliore bilanciamento tra le due attività. La regola aurea vuole che lo split ideale per una campagna sia circa il 60% di brand building e il 40% di sales activation. Che l’argomentazione è rigorosa tra l’altro lo dicono i dati recenti. Questi infatti mostrano un generale declino dell’efficacia della pubblicità negli ultimi anni. Da qui traiamo la nostra considerazione guida:
Abbassa gli investimenti in brand building e l’efficacia cola a picco. Alzali oltre misura e i suoi benefici marginali non saranno in grado di compensare la mancanza di una strategia volta all’attivazione delle vendite.
In conclusione, un’altra conferma dell’effetto positivo del Brand Building sulle vendite arriva dall’analisi Wavemaker/Brand Z.
La quota di acquisti registrati sulla categoria è fortemente correlata alla forza della Marca (Brand Power) rilevata da BrandZ.
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Andrea Fontanot
International Strategic Partner
Wavemaker Italy