Ovvero, come Lucio Dalla ci aveva già detto di non fermarci solo ai contenuti
Tra gli addetti ai lavori del marketing è comune scoprire nuove buzzword, alcune destinate a consolidarsi come elementi stabili del nostro settore, altre con una vita decisamente più effimera. A cavallo fra il 2022 e il 2023, questa sorte è toccata a ChatGPT: il nuovo strumento di intelligenza artificiale capace di creare, fra molte altre cose, anche interi contenuti a partire da un input umano.
ChatGPT è in pratica un chatbot evoluto. È un prodotto di OpenAI, un’organizzazione senza fini di lucro votata allo studio e allo sviluppo dell’intelligenza artificiale, con particolare attenzione alle cosiddette declinazioni di friendly-AI, ovvero alle integrazioni auspicabilmente non dannose nella vita umana di tutti i giorni.
Dal 2015 OpenAI ha lavorato a diversi progetti, che spaziano dal rafforzamento in sé degli algoritmi di machine learning alla produzione di contenuti visuali (DALL-E, ovvero il “ChatGPT delle immagini”), fino appunto alla replica fedele e al contempo molto flessibile dei meccanismi del linguaggio e della scrittura umani.
Soffermiamoci su questi ultimi, e quindi su ChatGPT. I molti test che sono stati condotti e pubblicati anche in Italia hanno generato curiosità, stupore, un po’ di scetticismo e persino qualche polemica. Di sicuro, ha cominciato a diffondersi una domanda legittima fra chi, in particolare, si occupa di SEO e produzione di contenuti: che conseguenze avrà l’adozione di ChatGPT sulle strategie content SEO-driven?
Google sarà in grado di riconoscere, ed eventualmente penalizzare, contenuti scritti dalla macchina anziché dalle persone? Oppure, al contrario, si potrà fare a meno di costosi servizi di copywriting, visto che tanto il risultato prodotto da ChatGPT è sorprendentemente sensato?