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Il piano editoriale è morto?

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La domanda è scomoda ma aleggia in molte delle agenzie che si occupano di contenuti e in particolare della gestione dei profili social delle aziende.

ASCOLTO – REATTIVITÀ – RILEVANZA

L’evoluzione degli algoritmi di Facebook oggi, e presto anche di Instagram, ci dimostra come la corsa di alcuni anni fa a scalare la numerica di fan e follower (nella prima fase di sviluppo dei social network), a cui ha seguito in un’epoca più matura un obiettivo di engagement, oggi non è più sostenibile.

La reach organica dei social network è sempre più bassa, in alcuni casi si attesta tra 0-1% (es. Facebook), il che significa che in media un contenuto sulla pagina di un’azienda o di un brand può essere visto o notato soltanto da 1 dei 100 follower della pagina.

I social, attraverso il piano editoriale, sono stati spesso l’escamotage utilizzato per mantenere gli equilibri, e in quest’ottica sono diventati il canale “low cost” con cui comunicare: ha ancora senso questo approccio?

Forse no, a meno che si abbia anche un budget media destinato a dare visibilità a queste iniziative, ma questo imporrebbe, a questo punto, sia uno sviluppo più sofisticato dei contenuti da distribuire sia una maggiore selezione dei temi, dei messaggi, delle priorità.

Questo è quello che la maggior parte dei social network consigliano ad oggi: all’autenticità si associa la rilevanza. Solo così puoi continuare ad alimentare la relazione con i tuoi utenti.

Ci sono almeno tre argomenti di peso che “smontano” l’approccio finora adottato alla costruzione del piano editoriale.

  1. La velocità di reazione oggi è imperante e sui social è necessario un approccio meno “pianificato” e più reattivo/attivo in cui conta più la pertinenza rispetto a un determinato momento che la programmazione.
  2. Sono i social, i creator e tutto ciò che accade online a dettare i trend di comunicazione e non più le aziende. I trend decidono cosa è interessante e il brand, sempre di più, è chiamato a dare la sua interpretazione in modo rilevante, coerente e distintivo.
  3. Le piattaforme premiano ad oggi la qualità dei contenuti anziché la quantità, e anche per logiche meramente economiche, a meno di non disporre di budget illimitati, sono le aziende stesse a dover fare una selezione.

In questo contesto sono necessari 3 impatti operativi che i brand debbono considerare.

  1. Bisogna essere perennemente in ascolto, perché se i tempi e i linguaggi sono influenzati da quello che viene condiviso o generato sui social è importante avere il polso della situazione.
  2. È necessario cogliere i segnali, interpretarli, codificarli e capire quando ha senso farne una leva di comunicazione e quando invece non ha senso, senza cedere alla tentazione di cavalcare qualunque trend.
  3. Accettare che il “controllo” sui contenuti diventerà via via sempre meno applicabile, perché gli influencer, i creator e le community inventano, reinterpretano e amplificano.

In realtà la questione si pone in termini ben più ampi di quelli descritti finora perché evidenzia come l’evoluzione del panorama digitale stia rendendo tutto più complesso. Lo stimolo ci arriva da un articolo pubblicato da recente dal NY Times il cui titolo diceva: “Advertising Industry has a problem: People hate Ads”.

L’articolo mette in luce la questione sempre attuale del progressivo allontanamento delle persone, soprattutto le generazioni più giovani, dalla pubblicità che, non gioca più il ruolo di dettare le tendenze culturali e di consumo di un’epoca.

Il punto nodale è la nascita di un nuovo modello di relazione tra consumatori e brand, dove esiste maggior spazio per creare, interagire e intrattenere. In questo contesto essere semplici spettatori non basta più, specialmente per le nuove generazioni che vogliono invece remixare contenuti e reinventare storie a partire da un nuovo protagonista: se stessi.

In questo scenario tutti hanno un’audience e tutti sono potenziali creatori. In questo passaggio si trova la chiave di lettura della content strategy per le aziende nel domani: il passaggio da watch a create.

Prendiamo come esempio il successo venuto alla ribalta di recente con TikTok. Oggi tutti parlano dell’ultimo dei Social Network arrivato alle orecchie dell’opinione pubblica, eppure è un fenomeno che da tempo è presente in Italia e oggi può già contare circa 3 milioni di iscritti nel nostro paese, di cui la gran parte appartenente alla Generazione Z.

TikTok pone proprio al centro il nuovo modello di relazione tra consumatori e brand, in cui l’ispirazione genera quella creatività spontanea che stravolge il modo con cui tradizionalmente interagiamo con i contenuti.

Come possono i brand sfruttare questa complessità? Alla base della content strategy del domani dei brand ci sono 5 regole importanti da tenere in considerazione (utili per agenzie e clienti).

RULES TO SURVIVE
Per i brand e per le agenzie

  1. Build a meaningful storytelling
    Più che mai è opportuno costruire dei contenuti, attraverso anche un piano editoriale se necessario ma non solo, che abbiano un senso per l’audience a cui ci rivolgiamo.
  2. Be relevant for your audience
    (No, “all” is not and audience)
    La rilevanza si deve costruire per la “nostra” audience perché tutti non è sinonimo di un’audience.
  3. Quality over quantity
    La qualità deve prevalere sulla quantità, anche a scapito dei piani editoriali che sono degli strumenti di lavoro e non delle gabbie in cui inserire tutto ciò che non ha spazio o budget in altri contesti.
  4. Tone of voice still matters
    Il tono di voce è molto importante. Non è solo sufficiente essere presenti sulle piattaforme perché hanno dei numeri importanti. Va interpretato bene il ruolo da tenere come marca e interpretare in modo rilevante quelli che sono i linguaggi della community.
  5. It’s ok not to be in control of everything
    Va bene se non si è in controllo di tutti i contenuti perché è necessario aprire un dialogo più aperto con le persone in cui ci sia anche spazio per l’interpretazione, perché no, in qualche caso cavalcando l’onda o semplicemente creando gli strumenti affinché siano le persone a comunicare il brand.

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