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In brand fame e ROI c’è un media che non trova rivali

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La TV è obsoleta? Non secondo Darwin

Ogni scelta è una rinuncia: l’impatto delle strategie sul brand

A seconda delle strategie media che adottiamo, otteniamo un impatto diverso sul brand. Per questo media e brand building sono così strettamente correlati.

Infatti, una strategia media che mira all’attivazione delle vendite funziona meglio quando è specificamente targettizzata su persone di cui è conosciuta l’intenzione di comprare a breve. Se è questo il caso si tende a utilizzare  media in grado di veicolare informazioni e di provocare con facilità una call to action.  Mentre invece fare brand building richiede più tempo, oltre a un’esposizione ripetuta e potenziata da un’amplificazione social che genera il cosiddetto ‘herd effect’. Inoltre, visto che il primo contatto emozionale è quello che risulta davvero efficace per costruire la fama di un brand si punta solitamente su canali audio-visivi.

Giù la maschera: la TV è il medium più efficace

Proviamo ora a rispondere alla domanda che fonda l’intero POV e a motivarla. Quando si parla di ROI a lungo termine la TV non trova rivali. Lo rivela la misurazione IPA del ROI sui differenti canali in termini di moltiplicatore di lungo periodo e il risultato è confermato dai dati più recenti collezionati in diversi Paesi (Usa, UK, Francia, Germania, Canada).

In generale, le campagne che hanno la tv nei loro piani media sono più efficaci rispetto alle campagne che non la contemplano. E in particolare tra queste le campagne di brand sono quelle che performano meglio in assoluto.

Se da un lato questo risultato può essere indirettamente influenzato dal budget media, che tende a essere più elevato quando c’è la tv – soprattutto di brand – bisogna anche tenere conto del fatto che non tutti i mezzi sono uguali per fare brand building.

Broad reach vs. Precision targeting

Una delle principali critiche rivolte all’utilizzo di un media generalista rispetto a un approccio di precision targeting è che il primo è più costoso. Torna però alla mente la celebre frase di John Wanamaker, businessman statunitense vissuto a cavallo tra Otto e Novecento:

“So che metà dei soldi che spendo in pubblicità vanno persi, ma non so quale metà”.

L’aumento del targeting di alta precisione grazie al digital, in particolare nella parte bassa del funnel di marketing, ha dato l’illusione di poter una volta per tutte risolvere il classico dilemma secondo cui gli investimenti andrebbero focalizzati laddove hanno più possibilità di avere un impatto chiaro.

L’aumento del targeting di alta precisione grazie al digital ha dato l’illusione di risolvere il classico dilemma secondo cui gli investimenti andrebbero focalizzati laddove hanno più possibilità di avere un impatto chiaro.

Ma se quanto abbiamo detto finora è vero – cioè che destinare una quota importante del budget al brand building dà i suoi frutti, se l’obiettivo è consolidare la fama del brand allora puntare su mezzi con una reach ampia resta la scelta migliore. C’è però anche un’altra ragione a supporto di questa argomentazione e riguarda… i pavoni. Si proprio i pavoni, quegli strani volatili che sanno ammaliare con la straordinaria bellezza delle loro piume.

I pavoni di Darwin

Cosa c’entrano i pavoni e Darwin con il brand building e la TV

Mentre lavorava alla sua “Origine della Specie”, Charles Darwin scrisse una lettera a un collega biologo dove confessava che la sola vista delle piume di pavone lo faceva sentire male. Sembravano la prova contro la sua teoria basata sulla selezione naturale e sulla semplificazione al fine dell’adattamento. Perché mai, infatti, una proprietà così inutile, inefficiente e costosa in termini di energia ha aumentato le chance di evoluzione di questa specie invece che scoraggiarle? Poi però capì che il senso dell’evoluzione non sta solo nell’adattamento utile per sopravvivere ai pericoli, ma anche e soprattutto per trasmettere il patrimonio genetico e riprodursi, al cui fine un corredo di piume colorato e spettacolare ha aiutato il pavone maschio non poco.

A seconda del mezzo scelto il brand “segnala” indirettamente la sua forza.

I media funzionano in maniera simile perché a seconda del mezzo scelto il brand “segnala” indirettamente la sua forza. L’esempio classico lo ritroviamo negli spot commerciali durante il Superbowl: è stato calcolato che con il budget necessario per andare on air con una pubblicità TV durante il match (circa 120 milioni di spettatori negli Stati Uniti) si potrebbero comprare 4 miliardi di impression sul digitale. Ma presidiare il Superbowl aumenta in maniera esponenziale la Brand Fame, trasmettendo a chi guarda un senso di potenza e opulenza del brand. Anche dai dati di Thinkbox raccolti nel Regno Unito dimostrano che la tv, a prescindere dal contenuto dello spot, innalza il punteggio di un brand su più livelli.

Leggi l’episodio 1

Segui le prossime puntate:

3.    L’attenzione in televisione. Dove sta la verità

4.     Se l’approccio multichannel è la via, la Brand Fame è la mission

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Andrea Fontanot

International Strategic Partner

Wavemaker Italy

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